Non è infrequente che nel corso delle visite al mio amato fratello in Val d’Elsa io decida di approfittarne per conoscere posti mai visti. Questa volta, partendo dalla Val d’Elsa e proseguendo verso Certaldo, mi sono portato lungo la via Francigena, (l’antica strada di comunicazione medievale che dal nord Europa conduceva a Roma), nel tratto che da Siena va verso la Val d’Arbia (praticamente a una quarantina di km da Siena e comunque non molto lontano da Chiusi/Chianciano) per visitare l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, un suggestivo ed imponente complesso monastico, attualmente sede della Congregazione dei monaci Benedettini Olivetani. Il tratto della Francigena che si perde nel territorio delle Crete Senesi (parte dell’attuale via Cassia) è pieno di scorci paesaggistici fatto di calanchi, balze e crete dall’emozionante bellezza. Esso ti invita ad un incedere lento sì da perderti nell’atmosfera così particolarmente intima di quei luoghi, Ma all’Abbazia conviene arrivare di buon’ora per evitare di trovarla chiusa (alle 12 chiude e riapre alle 15). Oltrepassato il ponte levatoio per accedere al complesso monastico una sensazione di pace ti accoglie subito e così, senza che te ne accorgi, ti ritrovi solo con te stesso in una sorta di raccoglimento interiore. Forse proprio questa fu la sensazione che spinse i tre giovani e nobili senesi, Bernardo Tolomei, Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini a ritirarsi in questo posto ai primi del XIV secolo per farne un ritrovo di meditazione e preghiera. Successivamente alla fine del XV secolo Monteoliveto si sviluppa quale centro monastico e culturale di grande importanza: in questo periodo, infatti, in esso prendono forma architettonica le chiese, le cappelle, i chiostri ma anche vari altri ambienti, adibiti a biblioteca, spezieria e foresteria. E proprio nel Chiostro grande si trova quella che è l’opera più conosciuta dell’Abbazia ovvero il ciclo di affreschi che trattano delle “Storie di San Benedetto”, eseguito da due dei più grandi pittori del tempo, Luca Signorelli e Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma. In verità, in un primo momento i monaci contattarono il Signorelli per realizzare l’opera ma l’artista, nonostante i numerosi assistenti a disposizione, non portò a termine il ciclo pittorico richiestogli. Infatti, interruppe lo svolgimento del ciclo pittorico dell’Abbazia per accettare la proposta di un incarico di prestigio nel Duomo di Orvieto volto al completamento della Cappella di San Brizio. All’epoca per i pittori valeva un po’ come per i calciatori oggi che volentieri lasciano una squadra meno titolata per una più titolata. Ma veniamo al Ciclo delle “Storie di San Benedetto” dell’Abbazia. Le “Storie di San Benedetto” furono commissionate al Signorelli prima, al Sodoma dopo, dall’abate fra Domenico Airoldi. Come si diceva, il Signorelli interruppe il lavoro dopo aver dipinto otto lunette del Chiostro. Le Storie di San Benedetto furono quindi riprese nel 1505 e portate a compimento dal Sodoma. E’ senz’altro chiaro che non bisogna essere esperti d’arte per rendersi conto che in quel Chiostro c’è una delle più importanti testimonianze della pittura italiana dell’epoca rinascimentale. Tra gli affreschi realizzati dal Signorelli secondo la critica il più rappresentativo dello stile del pittore è “Benedetto discopre la finzione di Totila”. In esso l’artista realizza figure che sembrano di metallo a causa dei movimenti concitati e nervosi dei suoi soggetti, ma si rimane soprattutto colpiti dalle schiene arcuate e dal pulsare dei muscoli delle figure ritratte. E ancor più avviene per gli affreschi del Sodoma dove talvolta quelle figure rappresentate in elaborate torsioni, così come certe attenzioni per i particolari anatomici sembrano quasi estranei alla storia rappresentata, quasi delle peripezie pittoriche inserite lì per colpire lo spettatore. Gli affreschi del Sodoma colpiscono, oltre che per l’uso della prospettiva e per l’attenzione per i particolari anatomici (tipiche del resto dell’artista rinascimentale), anche per la varietà dei colori e per una certa elementi di eccentricità: come può sfuggire il fatto che l’artista dipinge sé stesso in primo piano spostando in secondo piano lo stesso S.Benedetto o per il fatto di dipingere qua e là dei particolari molto curiosi e simpatici frutto di accese litigate fra lui e il committente dell’opera, l’abate fra Domenico Airoldi ? Basti guardare l’affresco dove il Sodoma dipinge un cavallo senza le zampette anteriori; oppure quello in cui il Sodoma nasconde, sotto le vesti, le mani giunte in preghiera dei monaci perché dinanzi alla prescia con cui l’Abate chiedeva al Sodoma di concludere il ciclo degli affreschi l’artista si vendica a modo suo decidendo di accelerare sì i tempi, ma risparmiando su alcuni dettagli di esecuzione particolarmente laboriosi come quello delle mani. E a testimoniare ancor di più l’insofferenza del Sodoma per le pressioni dell’Abate sta quella camicia appesa in un dipinto per dirci come abbia dovuto sudare le sette proverbiali camicie per concludere tutto il ciclo degli affreschi. Al di là di questi esempi di eccentricità dell’artista le “Storie di S. Benedetto” ci rivelano la grandezza dell’artista che, pur nell’influenza di pittori importanti quali Leonardo, il Perugino, lo stesso Signorelli o il Pinturicchio, riesce ad esprimere in taluni affreschi una grande ed originale spontaneità e ricchezza inventiva. Certo, non si può far a meno di pensare a Leonardo dinanzi alla ricca galleria di ritratti precisamente caratterizzati, il riferimento a luoghi precisi che appunto rivelano l’influenza diretta degli studi del Maestro di Vinci sui tipi umani e sulle emozioni (lo si vede particolarmente nell’affresco che fa riferimento a San Benedetto che predice la distruzione di Montecassino, sull’esempio della Battaglia di Anghiari di Leonardo). Al di là della straordinaria ricchezza culturale del Sodoma (ci si soffermi sulla decorazione a grottesche e a monocromo dove egli sviluppa un ricco repertorio di mostri, capricci e fantasie che fa riferimento alle grottesche della domus aurea ma anche alle descrizioni degli esseri favolosi della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio) anche un visitatore distratto o comunque, come me, profano di storia dell’arte, rimane affascinato dagli affreschi dell’Abbazia: in scena è rappresentata la tentazione del male raffigurato da un diavolo presentato come un discolo, pronto a dispetti, piccoli mezzi, stravaganti scaramucce nei confronti di poveri fraticelli che attendono il liberatorio intervento di San Benedetto, il bene, che vigila e, combatte e alla fine vince. Tutto ciò, come si diceva, con tanto di accurate ambientazioni di paesaggio, dettagli, ma anche didascalie e allegorie varie. E per qualche ora il visitatore può sentirsi in pace con sé stesso in quell’ambiente di quiete mistica coccolato dalle le magnifiche decorazioni di due tra i più grandi pittori del Rinascimento.
Non è infrequente che nel corso delle visite al mio amato fratello in Val d’Elsa io decida di approfittarne per conoscere posti mai visti. Questa volta, partendo dalla Val d’Elsa e proseguendo verso Certaldo, mi sono portato lungo la via Francigena, (l’antica strada di comunicazione medievale che dal nord Europa conduceva a Roma), nel tratto che da Siena va verso la Val d’Arbia (praticamente a una quarantina di km da Siena e comunque non molto lontano da Chiusi/Chianciano) per visitare l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, un suggestivo ed imponente complesso monastico, attualmente sede della Congregazione dei monaci Benedettini Olivetani. Il tratto della Francigena che si perde nel territorio delle Crete Senesi (parte dell’attuale via Cassia) è pieno di scorci paesaggistici fatto di calanchi, balze e crete dall’emozionante bellezza. Esso ti invita ad un incedere lento sì da perderti nell’atmosfera così particolarmente intima di quei luoghi, Ma all’Abbazia conviene arrivare di buon’ora per evitare di trovarla chiusa (alle 12 chiude e riapre alle 15). Oltrepassato il ponte levatoio per accedere al complesso monastico una sensazione di pace ti accoglie subito e così, senza che te ne accorgi, ti ritrovi solo con te stesso in una sorta di raccoglimento interiore. Forse proprio questa fu la sensazione che spinse i tre giovani e nobili senesi, Bernardo Tolomei, Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini a ritirarsi in questo posto ai primi del XIV secolo per farne un ritrovo di meditazione e preghiera. Successivamente alla fine del XV secolo Monteoliveto si sviluppa quale centro monastico e culturale di grande importanza: in questo periodo, infatti, in esso prendono forma architettonica le chiese, le cappelle, i chiostri ma anche vari altri ambienti, adibiti a biblioteca, spezieria e foresteria. E proprio nel Chiostro grande si trova quella che è l’opera più conosciuta dell’Abbazia ovvero il ciclo di affreschi che trattano delle “Storie di San Benedetto”, eseguito da due dei più grandi pittori del tempo, Luca Signorelli e Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma. In verità, in un primo momento i monaci contattarono il Signorelli per realizzare l’opera ma l’artista, nonostante i numerosi assistenti a disposizione, non portò a termine il ciclo pittorico richiestogli. Infatti, interruppe lo svolgimento del ciclo pittorico dell’Abbazia per accettare la proposta di un incarico di prestigio nel Duomo di Orvieto volto al completamento della Cappella di San Brizio. All’epoca per i pittori valeva un po’ come per i calciatori oggi che volentieri lasciano una squadra meno titolata per una più titolata. Ma veniamo al Ciclo delle “Storie di San Benedetto” dell’Abbazia. Le “Storie di San Benedetto” furono commissionate al Signorelli prima, al Sodoma dopo, dall’abate fra Domenico Airoldi. Come si diceva, il Signorelli interruppe il lavoro dopo aver dipinto otto lunette del Chiostro. Le Storie di San Benedetto furono quindi riprese nel 1505 e portate a compimento dal Sodoma. E’ senz’altro chiaro che non bisogna essere esperti d’arte per rendersi conto che in quel Chiostro c’è una delle più importanti testimonianze della pittura italiana dell’epoca rinascimentale. Tra gli affreschi realizzati dal Signorelli secondo la critica il più rappresentativo dello stile del pittore è “Benedetto discopre la finzione di Totila”. In esso l’artista realizza figure che sembrano di metallo a causa dei movimenti concitati e nervosi dei suoi soggetti, ma si rimane soprattutto colpiti dalle schiene arcuate e dal pulsare dei muscoli delle figure ritratte. E ancor più avviene per gli affreschi del Sodoma dove talvolta quelle figure rappresentate in elaborate torsioni, così come certe attenzioni per i particolari anatomici sembrano quasi estranei alla storia rappresentata, quasi delle peripezie pittoriche inserite lì per colpire lo spettatore. Gli affreschi del Sodoma colpiscono, oltre che per l’uso della prospettiva e per l’attenzione per i particolari anatomici (tipiche del resto dell’artista rinascimentale), anche per la varietà dei colori e per una certa elementi di eccentricità: come può sfuggire il fatto che l’artista dipinge sé stesso in primo piano spostando in secondo piano lo stesso S.Benedetto o per il fatto di dipingere qua e là dei particolari molto curiosi e simpatici frutto di accese litigate fra lui e il committente dell’opera, l’abate fra Domenico Airoldi ? Basti guardare l’affresco dove il Sodoma dipinge un cavallo senza le zampette anteriori; oppure quello in cui il Sodoma nasconde, sotto le vesti, le mani giunte in preghiera dei monaci perché dinanzi alla prescia con cui l’Abate chiedeva al Sodoma di concludere il ciclo degli affreschi l’artista si vendica a modo suo decidendo di accelerare sì i tempi, ma risparmiando su alcuni dettagli di esecuzione particolarmente laboriosi come quello delle mani. E a testimoniare ancor di più l’insofferenza del Sodoma per le pressioni dell’Abate sta quella camicia appesa in un dipinto per dirci come abbia dovuto sudare le sette proverbiali camicie per concludere tutto il ciclo degli affreschi. Al di là di questi esempi di eccentricità dell’artista le “Storie di S. Benedetto” ci rivelano la grandezza dell’artista che, pur nell’influenza di pittori importanti quali Leonardo, il Perugino, lo stesso Signorelli o il Pinturicchio, riesce ad esprimere in taluni affreschi una grande ed originale spontaneità e ricchezza inventiva. Certo, non si può far a meno di pensare a Leonardo dinanzi alla ricca galleria di ritratti precisamente caratterizzati, il riferimento a luoghi precisi che appunto rivelano l’influenza diretta degli studi del Maestro di Vinci sui tipi umani e sulle emozioni (lo si vede particolarmente nell’affresco che fa riferimento a San Benedetto che predice la distruzione di Montecassino, sull’esempio della Battaglia di Anghiari di Leonardo). Al di là della straordinaria ricchezza culturale del Sodoma (ci si soffermi sulla decorazione a grottesche e a monocromo dove egli sviluppa un ricco repertorio di mostri, capricci e fantasie che fa riferimento alle grottesche della domus aurea ma anche alle descrizioni degli esseri favolosi della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio) anche un visitatore distratto o comunque, come me, profano di storia dell’arte, rimane affascinato dagli affreschi dell’Abbazia: in scena è rappresentata la tentazione del male raffigurato da un diavolo presentato come un discolo, pronto a dispetti, piccoli mezzi, stravaganti scaramucce nei confronti di poveri fraticelli che attendono il liberatorio intervento di San Benedetto, il bene, che vigila e, combatte e alla fine vince. Tutto ciò, come si diceva, con tanto di accurate ambientazioni di paesaggio, dettagli, ma anche didascalie e allegorie varie. E per qualche ora il visitatore può sentirsi in pace con sé stesso in quell’ambiente di quiete mistica coccolato dalle le magnifiche decorazioni di due tra i più grandi pittori del Rinascimento.