Quella del funzionario pubblico non ha mai goduto di un particolare apprezzamento nel nostro paese a differenza di altri paesi dove invece la considerazione (ma, viene da dire, anche la professionalità) è più elevata nella società civile. Un indice di questo scarso apprezzamento è lo scarso contributo offerto dal mondo impiegatizio al mondo letterario. In tal senso ci vengono in soccorso le biografie dei vari scrittori.
Certo, a leggere le biografie si rischia di annoiarsi un pochino se non addirittura – volendo un po’ esagerare-di incorrere in una sorta di nichilismo cosmico, dal momento che, come avvertiva il filosofo Emil Cioran, divorando “una biografia dopo l’altra [ci si] persuade meglio dell’inutilità di qualsiasi impresa, di qualunque destino”.
E, tuttavia, essendo il sottoscritto, incline a periodiche forme di autolesionismo, mi sono preso il gusto di soffermarmi su alcune biografie di scrittori noti al grande pubblico e da questo curiosare ho potuto constatare di quanto sia sempre stato forte nella letteratura oltralpe il legame tra gli scrittori di racconti e romanzi ma anche di altri generi letterari da un lato e il mondo impiegatizio dall’altro, insomma, tra la scrittura e il pubblico impiego
La vita di molti scrittori che avevano un certo rapporto con il pubblico impiego, passata al setaccio mi ha portato in molti casi nel registro delle valutazioni, quello che un tempo, nel secolo scorso, venivano chiamate note di qualifica da parte dei superiori.
Prima di ogni cosa, però, può essere utile sottolineare come per molti scrittori il pubblico impiego abbia rappresentato una vera e propria fonte di sostentamento oltre al fatto evidente che essi hanno potuto usufruire anche di strumenti (carta, penna, inchiostro) e posto dove scrivere (scrivania). Insomma, molti di questi scrittori hanno potuto scrivere dei capolavori proprio grazie al fatto di avere un impiego certo. Se avessero dovuto cercarsi un lavoro non avrebbero avuto il tempo per scrivere capolavori. Certo, si scopre anche che per alcuni di essi dover utilizzare le proprie energie in pratiche amministrative ha comportato l’irrimediabile perdita di una potenziale produzione letteraria e l’umanità ha perso magari chissà quale capolavoro. In ogni caso per gli uni e per gli altri l’attività impiegatizia è stata una straordinaria fonte di ispirazione. Vissuta in modo diversa da scrittore a scrittore. C’era lo scrittore per il quale il lavoro di pubblico impiegato veniva vissuto come una vera propria tortura. Pensiamo a Nikolaj Gogol. Fu assunto giovanissimo al ministero degli interni russo ma i suoi entusiasmi giovanili si spensero con gli anni nel grigiore di un lavoro impiegatizio piatto e senza prospettive. E proprio un ceto impiegatizio senza luce e senza grandezza viene ad essere rappresentato nel tramite del personaggio principale di uno dei suoi più famosi Racconti di Pietroburgo, il Cappotto. Oppure si pensi allo scrittore Joseph Roth per il quale ne La cripta ei cappuccini addirittura l’impiego pubblico viene rappresentato come un incubo. Oppure al poeta Stephane Mallarmè che lavorò in prova come impiegato nell’Ufficio del registro, con esito negativo o anche al Guy de Maupassant di Bel Ami, impiegato al Ministero della marina su cui il direttore del servizio, suo superiore, annotò in un giudizio: “Coscienzoso, ma non sa scrivere” e, ancora, si pensi a Honoré de Balzac considerato tanto lavativo da essere invitato un giorno dal suo capoufficio con tanto di disposizione scritta “a non presentarsi in ufficio perché c’era troppo lavoro” ! Sarà per questo che ne Gli impiegati troviamo tante gag sulla vita negli uffici ministeriali? Comunque, chi ricevette il peggiore dei giudizi fu lo scrittore Charles Bukowski che venne addirittura licenziato dall’impiego di postino a causa di una serie di procedimenti disciplinari per ubriachezza molesta. Un comportamento in linea con il suo alter ego letterario, Henry Cinaski, che nel romanzo Factotum passerà da un mestiere all’altro, vivendo alla giornata, tra scommesse, sbornie e maniacali pulsioni sessuali. Diverso il caso del grande scrittore praghese Franz Kafka, impiegato modello, stando alle note del suo superiore che scriveva: “il dottor Kafka è lavoratore instancabile, assiduo ed ambizioso, egregiamente utilizzabile, di straordinaria operosità, di spiccata intelligenza e di grande zelo nell’adempimento del suo lavoro” .
Qualcuno magari si chiederà che relazione ci sia tra questo modo di vivere l’organizzazione burocratica del suo lavoro e i suoi grandi romanzi: pensiamo a “la metamorfosi” per il cui protagonista, Gregor Samsa, è l’ansia a dover giungere puntuale in ufficio il suo primo pensiero nei panni del coleottero in cui si risveglia la mattina; oppure al possibile rapporto tra il senso di responsabilità e di gerarchia del Kafka impiegato modello e l’inafferrabile e surreale accusa che perseguita lo sconcertato dottor Kafka ne Il Processo. Purtroppo, il rapporto finora palesato tra letteratura e pubblico impiego non è mai stato così stretto nel panorama letterario italiano.
Quella del funzionario pubblico non ha mai goduto di un particolare apprezzamento nel nostro paese a differenza di altri paesi dove invece la considerazione (ma, viene da dire, anche la professionalità) è più elevata nella società civile. Un indice di questo scarso apprezzamento è lo scarso contributo offerto dal mondo impiegatizio al mondo letterario. In tal senso ci vengono in soccorso le biografie dei vari scrittori.
Certo, a leggere le biografie si rischia di annoiarsi un pochino se non addirittura – volendo un po’ esagerare-di incorrere in una sorta di nichilismo cosmico, dal momento che, come avvertiva il filosofo Emil Cioran, divorando “una biografia dopo l’altra [ci si] persuade meglio dell’inutilità di qualsiasi impresa, di qualunque destino”.
E, tuttavia, essendo il sottoscritto, incline a periodiche forme di autolesionismo, mi sono preso il gusto di soffermarmi su alcune biografie di scrittori noti al grande pubblico e da questo curiosare ho potuto constatare di quanto sia sempre stato forte nella letteratura oltralpe il legame tra gli scrittori di racconti e romanzi ma anche di altri generi letterari da un lato e il mondo impiegatizio dall’altro, insomma, tra la scrittura e il pubblico impiego
La vita di molti scrittori che avevano un certo rapporto con il pubblico impiego, passata al setaccio mi ha portato in molti casi nel registro delle valutazioni, quello che un tempo, nel secolo scorso, venivano chiamate note di qualifica da parte dei superiori.
Prima di ogni cosa, però, può essere utile sottolineare come per molti scrittori il pubblico impiego abbia rappresentato una vera e propria fonte di sostentamento oltre al fatto evidente che essi hanno potuto usufruire anche di strumenti (carta, penna, inchiostro) e posto dove scrivere (scrivania). Insomma, molti di questi scrittori hanno potuto scrivere dei capolavori proprio grazie al fatto di avere un impiego certo. Se avessero dovuto cercarsi un lavoro non avrebbero avuto il tempo per scrivere capolavori. Certo, si scopre anche che per alcuni di essi dover utilizzare le proprie energie in pratiche amministrative ha comportato l’irrimediabile perdita di una potenziale produzione letteraria e l’umanità ha perso magari chissà quale capolavoro. In ogni caso per gli uni e per gli altri l’attività impiegatizia è stata una straordinaria fonte di ispirazione. Vissuta in modo diversa da scrittore a scrittore. C’era lo scrittore per il quale il lavoro di pubblico impiegato veniva vissuto come una vera propria tortura. Pensiamo a Nikolaj Gogol. Fu assunto giovanissimo al ministero degli interni russo ma i suoi entusiasmi giovanili si spensero con gli anni nel grigiore di un lavoro impiegatizio piatto e senza prospettive. E proprio un ceto impiegatizio senza luce e senza grandezza viene ad essere rappresentato nel tramite del personaggio principale di uno dei suoi più famosi Racconti di Pietroburgo, il Cappotto. Oppure si pensi allo scrittore Joseph Roth per il quale ne La cripta ei cappuccini addirittura l’impiego pubblico viene rappresentato come un incubo. Oppure al poeta Stephane Mallarmè che lavorò in prova come impiegato nell’Ufficio del registro, con esito negativo o anche al Guy de Maupassant di Bel Ami, impiegato al Ministero della marina su cui il direttore del servizio, suo superiore, annotò in un giudizio: “Coscienzoso, ma non sa scrivere” e, ancora, si pensi a Honoré de Balzac considerato tanto lavativo da essere invitato un giorno dal suo capoufficio con tanto di disposizione scritta “a non presentarsi in ufficio perché c’era troppo lavoro” ! Sarà per questo che ne Gli impiegati troviamo tante gag sulla vita negli uffici ministeriali? Comunque, chi ricevette il peggiore dei giudizi fu lo scrittore Charles Bukowski che venne addirittura licenziato dall’impiego di postino a causa di una serie di procedimenti disciplinari per ubriachezza molesta. Un comportamento in linea con il suo alter ego letterario, Henry Cinaski, che nel romanzo Factotum passerà da un mestiere all’altro, vivendo alla giornata, tra scommesse, sbornie e maniacali pulsioni sessuali. Diverso il caso del grande scrittore praghese Franz Kafka, impiegato modello, stando alle note del suo superiore che scriveva: “il dottor Kafka è lavoratore instancabile, assiduo ed ambizioso, egregiamente utilizzabile, di straordinaria operosità, di spiccata intelligenza e di grande zelo nell’adempimento del suo lavoro” .
Qualcuno magari si chiederà che relazione ci sia tra questo modo di vivere l’organizzazione burocratica del suo lavoro e i suoi grandi romanzi: pensiamo a “la metamorfosi” per il cui protagonista, Gregor Samsa, è l’ansia a dover giungere puntuale in ufficio il suo primo pensiero nei panni del coleottero in cui si risveglia la mattina; oppure al possibile rapporto tra il senso di responsabilità e di gerarchia del Kafka impiegato modello e l’inafferrabile e surreale accusa che perseguita lo sconcertato dottor Kafka ne Il Processo. Purtroppo, il rapporto finora palesato tra letteratura e pubblico impiego non è mai stato così stretto nel panorama letterario italiano.